Cosa c’entra la guerra in Vietnam con la diossina di Seveso?
Perché l’incidente avvenne di sabato, giorno in cui la fabbrica era ufficialmente chiusa?
Cosa si produceva davvero all’Icmesa e per conto di chi?
Perché i dirigenti della casa madre svizzera chiamavano l’Icmesa, ben prima dell’incidente, “la fabbrica sporca”?
Perché l’Icmesa, prima dell’incidente, pagava profumatamente i contadini che portavano in fabbrica le carcasse degli animali morti della zona?
Cosa contenevano i fumi dell’inceneritore che stava accanto alla fabbrica?
Perché si parlò di una fuoriuscita di 300 grammi di diossina quando la nube ne conteneva almeno 15 chili?
Quali altre sostanze tossiche fuoriuscirono quel giorno?
Perché per 14 giorni ci furono solo silenzi e omissioni? Per coprire cosa?
Che ci facevano i militari americani a Seveso subito dopo l’incidente?
Chi e perché tentò di minimizzare l’accaduto?
Chi e perché ostacolò le indagini e occultò i documenti?
Che ruolo hanno avuto i servizi segreti?
Furono davvero dei suicidi quello del generale dell’esercito italiano incaricato di recintare la zona inquinata e quello della moglie di un ex dirigente della Hoffmann-La Roche, gruppo di cui faceva parte l’Icmesa?
Dove sono finiti i fusti della diossina di Seveso?
Tre settimane fa ho ricordato in Senato la tragedia di Seveso di 43 anni fa, ma solo ora inizio a conoscerne la vera storia.
Una storia che ha colpito tutto il mondo tanto che ne venne fatto addirittura un cartone animato in Giappone.
Dietro quel disastro c’è molto di più di quello che si ricorda generalmente al giorno d’oggi, c’è una storia incredibile che merita di essere ricordata da tutti.