Se avete meno di 40/45 anni non potete sapere di cosa stiamo parlando! Ma in epoca analogica, quando compravi un disco in vinile, era normale farne una copia su musicassetta per ascoltarlo sull’autoradio della macchina. Oppure duplicare la videocassetta originale di un film, per non rovinarla con l’uso.
Nel 1992 è stato istituito un contributo per compensare gli autori e tutta la filiera dell’industria culturale dei mancati guadagni economici causati dalla realizzazione delle copie per uso privato. All’epoca aveva un senso… ma oggi? Non ci crederete ma se avete comprato una schedina di memoria, un tablet, un pc o un televisore ancora oggi una parte del prezzo che avete pagato va alla SIAE come compenso per copia privata! fino a 5 euro per gli smartphone, fino a 9 per le chiavette usb, fino a 20 per gli hard disk. Un contributo che, pur avendo perso ormai quasi ogni ragione d’essere, costa ai consumatori circa 130 milioni di euro all’anno!
Su questo problema ho presentato un’interrogazione per chiedere due azioni al ministro dei beni culturali Dario Franceschini:
1) ridimensionare drasticamente il compenso per copia privata;
2) rendere trasparente la procedura periodica di aggiornamento del compenso.
E ora vi spiego perché.
Il compenso, che all’inizio riguardava principalmente i supporti vergini (come CD, videocassette e audiocassette), negli anni è stato applicato a una crescente platea di dispositivi. Con l’ultimo aggiornamento, che risale al 2014, l’allora ministro Franceschini ha esteso il contributo a nuove categorie di prodotti (come televisori, tablet e hard disk) e ha aumentato i compensi unitari sui dispositivi di grande diffusione (smartphone, computer, schede di memoria) e così l’ammontare complessivo della raccolta per copia privata è passato dai 44 milioni del 2009 ai 130 milioni del 2017: una cifra che vale il 20% degli incassi SIAE.
Eppure l’evoluzione tecnologica ha cambiato radicalmente la fruizione dei contenuti audiovisivi e la propensione dei consumatori a realizzare copie private, al punto che il compenso per copia privata oggi appare quanto meno anacronistico: da una parte la copia di materiale audiovisivo, che era semplicissima all’epoca delle audiocassette e videocassette, oggi viene impedita attraverso le protezioni digitali anticopia; dall’altra la possibilità di accedere sempre e ovunque ai contenuti in streaming ha eliminato anche la necessità di fare copie.
Insomma, oggi il compenso per copia privata ha perso quasi ogni ragione d’essere: per questo ho chiesto al Ministro di ridurre drasticamente i compensi unitari per allinearli esclusivamente alla produzione delle copie basate su tecnologie prive di protezioni: non si può obbligare il consumatore a pagare anche per le copie che non può fare!
C’è poi il secondo punto: la mancanza di trasparenza. Ogni tre anni il ministero deve emanare un decreto per aggiornare l’elenco dei dispositivi soggetti al pagamento e i compensi unitari. La determinazione dei compensi viene fatta tenendo conto del parere del “comitato consultivo permanente per il diritto d’autore”. Nel comitato sono rappresentati, oltre ad alcuni ministeri, la SIAE e i beneficiari dei compensi, ma non c’è nessuna rappresentanza di coloro che pagano, ossia i consumatori e produttori dei dispositivi. Ovviamente non è possibile sapere con esattezza quante copie private vengono fatte in Italia con i vari dispositivi, per questo il comitato elabora una stima attraverso appositi studi e ricerche scientifiche. Il problema è che queste ricerche e i lavori del Comitato non sono pubblici: di fatto le categorie dei consumatori e dei produttori di dispositivi non possono partecipare ai lavori e non possono nemmeno controllare a posteriori la correttezza dei dati e degli studi su cui si fonda la quantificazione dei compensi.
Nell’interrogazione ho chiesto quindi, oltre alla drastica riduzione dei compensi, la pubblicazione integrale dei lavori del Comitato, inclusi i verbali delle sedute, i dati e le ricerche scientifiche: visto che il pagamento di 130 milioni di euro all’anno si basa su dati non reali ma soltanto “stimati”, fornire ai cittadini tutte le informazioni è il minimo che si possa fare!