Oggi in Brianza è in corso una guerra, che coinvolge il settore dei rifiuti. E’ una guerra che si combatte su più fronti e per varie ragioni, ma, come in ogni guerra, il rischio è che a farne le spese siano soprattutto i cittadini. In ballo ci sono investimenti milionari e la sopravvivenza di una classe di dirigenti di società pubbliche vecchia e arretrata, spalleggiata da una classe di politici locali altrettanto vecchi e arretrati. Sono coinvolte varie amministrazioni dei nostri Comuni e due delle principali società del settore: Gelsia Ambiente (raccolta) e Bea (smaltimento tramite inceneritore). Come andrà a finire questa guerra nessuno lo può dire, ma alla fine di questo lungo scritto cercherò di fare qualche previsione.

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UN PO’ DI STORIA
Nella parte di Brianza in cui operano queste due società pubbliche (la parte ad ovest di Monza), il servizio di raccolta differenziata e quello di incenerimento del rifiuto residuo hanno convissuto abbastanza pacificamente per molti anni. Il motivo era semplice: la capacità del forno inceneritore di Desio, ovvero il “fabbisogno del combustibile” non era tale da ostacolare lo sviluppo della raccolta differenziata. Per quanto quest’ultima crescesse in percentuale, il forno poteva comunque contare sul suo “approvvigionamento”.

E quando la raccolta differenziata dei Comuni soci di Bea ha cominciato a raggiungere percentuali tali da sottrarre rifiuti all’inceneritore di Desio, la società che lo gestisce, Bea, non ha fatto altro che allargare via via la platea dei Comuni serviti, anche a Comuni fuori provincia (es: Senago). Una vera beffa per i cittadini dei Comuni soci: più diventavano bravi a fare la raccolta differenziata e più Bea si rivolgeva all’esterno del circuito dei soci per mantenere invariata la quantità dei rifiuti da bruciare, con tutte le ben note conseguenze in termini di impatti ambientali e sanitari sulla zona.

LE DISPOSIZIONI DELLA REGIONE
Oggi però le cose si sono complicate parecchio per Bea. In primo luogo perché Regione Lombardia, con il nuovo Piano Rifiuti, ha certificato che anche su base regionale la raccolta differenziata sta togliendo la terra sotto i piedi ai 13 inceneritori attualmente presenti in regione: si prevede addirittura che tra soli 6 anni sarà necessario bruciare la metà dei rifiuti che si bruciano oggi! La regione ha quindi assunto l’impegno a redigere un piano per la progressiva dismissione degli impianti col maggiore impatto ambientale (e Desio è tra i primi che andrebbero dismessi considerando questo parametro).
Bea però ha ottenuto il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale da parte della Regione – per altri 6 anni, con facoltà di aumentare la capacità di smaltimento fino a quasi 100 mila tonnellate/anno – poco prima che venisse pubblicato il Piano Rifiuti, venisse approvata una moratoria per la realizzazione di nuovi impianti/ampliamento degli esistenti e venisse approvata la risoluzione della progressiva dismissione di cui sopra. E forte di questo rinnovo autorizzativo ha approvato un piano industriale che prevede l’investimento di 15 milioni di euro nel vecchio impianto per tirare avanti con l’attività per altri 18 anni.

PER BRUCIARE QUALI RIFIUTI??
Ma se mancheranno sempre più i rifiuti da bruciare in Lombardia, che senso ha il piano di Bea? E dove pensa di trovare i rifiuti che servono per alimentare l’impianto per altri 18 anni? Due sono le strategie messe in atto da Bea: da un lato mira a stabilizzare nel tempo il quantitativo di rifiuti conferito dai Comuni soci e dall’altro vuole andare a reperire monnezza da bruciare “sul mercato”.

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I RIFIUTI DA FUORI REGIONE
Cominciamo ad analizzare questo secondo intendimento: se la società andrà in cerca di rifiuti all’interno della regione, dovrà scontrarsi con colossi del settore che gestiscono impianti da 500/700 mila tonnellate, per di più in un contesto di sempre più accentuata scarsità di rifiuti da bruciare… praticamente un suicidio!
A Bea non resta che rivolgersi al di fuori dei confini regionali: l’idea di tenere in vita l’inceneritore di Desio per altri 18 anni (è attivo dal 1976…) grazie a rifiuti provenienti da Napoli, da Roma o da Firenze è semplicemente folle e del tutto insostenibile sul piano politico. Senza contare che i cittadini di Desio, Bovisio, Varedo, Limbiate e Cesano Maderno sono già pronti a scendere in piazza nel caso si realizzasse una simile eventualità!

LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE: I RIFIUTI DEI SOCI
I dirigenti di Bea non sono stupidi e lo sanno. Per questo puntano quantomeno a stabilizzare i quantitativi conferiti dai soci ed evitare che nuovi passi in avanti della raccolta differenziata erodano ulteriormente la base certa e “politicamente accettabile” dei rifiuti da bruciare.
Difatti hanno da prima messo in atto un tentativo maldestro, con il primo piano industriale dell’anno scorso, di obbligare i comuni soci a conferire una quantitativo prestabilito di rifiuti da bruciare per ben 20 anni! E se il Comune fosse stato così virtuoso da ridurre la produzione di rifiuti o aumentare la raccolta differenziata, sarebbe stato per contratto passibile di penalizzazioni!
Fallito miseramente questo tentativo con conseguente perdita secca di credibilità da parte del management di Bea (ma non agli occhi dei sindaci che l’hanno nominato), ecco spuntare il secondo piano industriale, quello recentemente approvato dalla risicata maggioranza dei soci di centro sinistra (Desio escluso), in cui quest’obbligo di conferimento non c’è più ma si insiste sul fatto che una quota cospicua di rifiuti sia inevitabilmente da bruciare.

ARRIVANO I RINFORZI: IL POLITECNICO, IL CENTRO STUDI MATER E IL CONSORZIO LEAP
E per convincere i soci di questa loro “verità assoluta” hanno pensato bene di chiamare i rinforzi: ed ecco il Professor Giuliano del Politecnico di Milano presenziare ad una assemblea dei soci per spiegare che non c’è alternativa all’incenerimento del 30/40% dei rifiuti urbani prodotti:

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Ma per assicurare tutti sulla propria buona volontà e “mantenere una costante attenzione alle innovazioni di processo che dovessero rendersi disponibili nel settore del trattamento della frazione residua dei rifiuti solidi urbani”, ecco Bea aderire al Consorzio Leap e al Centro Studi Mater!
Peccato che questi soggetti, nell’ambiente degli esperti del settore, abbiano una credibilità prossima allo zero. Da sempre considerati (non solo in Italia, ma a livello mondiale) quelli che puntano forte sull’incenerimento, quelli pronti a denigrare qualunque strategia alternativa, seguono le evoluzioni del sistema di gestione dei rifiuti con 10/15 anni di ritardo.
Quando si cominciò a discutere della possibilità di raccogliere separatamente l’umido, loro dicevano che non si poteva fare; poi sostennero che più del 50% di raccolta differenziata non era possibile fare; ora dicono che si può fare il 65% (previsto per legge) “ma di più non conviene, e comunque il rifiuto residuo è meglio che sia incenerito”. I riferimenti economici, tecnici, operativi e legali a smentita delle loro tesi esistono in abbondanza.
Certo, per sostenere la tesi della sopravvivenza e rilancio dell’inceneritore di Desio per altri 18 anni sono perfetti! E difatti Bea si è rivolta a loro riuscendo a convincere i sindaci soci della bontà delle loro tesi!

UN PERICOLO MORTALE PER BEA: LA TARIFFA PUNTUALE DI GELSIA AMBIENTE
Come se non bastassero tutti i problemi che Bea deve affrontare per portare avanti la sua insostenibile politica di potenziamento e ammodernamento del vetusto impianto, ecco all’orizzonte profilarsi un pericolo mortale! Negli ultimi mesi la società pubblica Gelsia Ambiente, titolare del servizio di raccolta differenziata di molti comuni brianzoli, tra cui vari soci Bea, ha avviato in un quartiere di Lissone, grazie al lungimirante appoggio del sindaco Monguzzi, la sperimentazione di un innovativo sistema di raccolta del rifiuto residuo, basato sul principio della tariffa puntuale (“chi meno inquina meno paga”).
Grazie ad un avanzato sistema elettronico (RFID), Gelsia è in grado di applicare una tariffa diversa ad ogni singolo utente a seconda del quantitativo di rifiuti residui (quelli cioè da mandare all’inceneritore) prodotti. Pratica innovativa in Brianza, ma già ben sperimentata in altre parti d’Italia, si tratta di un potente strumento per incentivare i cittadini a fare bene la raccolta differenziata. E difatti a Lissone i risultati non si sono fatti attendere! Con l’introduzione del nuovo sistema la raccolta differenziata è passata dal 64 al 78% in pochissimi mesi! Un incredibile salto di ben 14 punti percentuale!!
Un grandissimo risultato per i cittadini di Lissone, non solo in termini di difesa dell’ambiente e della salute ma anche economici: si abbattono i costi di smaltimento del rifiuto residuo (leggi costi di incenerimento) e aumentano gli introiti derivanti dalla vendita dei materiali separati ai vari consorzi della filiera Conai!

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A questo punto finalmente anche in Brianza c’è la “prova provata” di quanto vado ripetendo da 5 anni: una raccolta differenziata fatta come si deve può arrivare a sfiorare l’80% e portare benefici economici alle esangui casse dei Comuni e quindi dei cittadini! Ora che finalmente un sindaco ha accettato la sfida della tariffa puntuale e l’ha vinta alla grande, è facile prevedere l’effetto emulazione da parte della altre amministrazioni brianzole, in particolare quelle servite da Gelsia.

Ma non è tutto: in Gelsia stanno facendo anche delle prove di recupero di materia dal rifiuto residuo, producendo tramite estrusione un granulato a base plastica da rivendere alle aziende del settore dello stampaggio plastico, emulando di fatto le innovazioni del famoso Centroriciclo di Vedelago. In questo modo il rifiuto residuo si trasforma da costo (di smaltimento) a ricavo (dalla vendita del materiale) per i Comuni! Si tratta quindi di altro combustibile e altre risorse economiche sottratte all’inceneritore!

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Ed è proprio questo il rischio insopportabile per Bea: l’evoluzione virtuosa del sistema di gestione dei rifiuti in Brianza condanna a morte l’inceneritore di Desio. Già sarà dura per Bea trovare rifiuti da bruciare e se anche li trova fuori regione l’operazione rischia fortemente di fallire perché politicamente insostenibile. In più ora ci si mette pure Gelsia a levarle la terra sotto i piedi in casa sua, in Brianza, smentendo con i fatti le basi concettuali (quelle sostenute dal Politecnico, Mater, Leap e compagnia cantante) su cui si regge tutta l’operazione di rilancio del forno… operazione che assume sempre più le sembianze di un fragile castello di carte destinato a cedere in breve tempo.

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO
Ed è proprio qui che comincia la guerra, una poco gloriosa guerra per il forno, che per i nostri cari sindaci illuminati di centro sinistra deve sopravvivere, nonostante tutto e tutti. E nonostante ai cittadini che amministrano non convenga affatto economicamente!
Fino qui abbiamo parlato poco delle responsabilità dei politici e degli amministratori locali. Abbiamo ricordato che il piano industriale di Bea è passato grazie al voto favorevole dei sindaci di centro sinistra (Desio esclusa), capitanati da Gigi Ponti di Cesano Maderno, seguito a ruota dal sindaco di Limbiate, Raffaele De Luca. Non a caso sulle poltrone del Consiglio di Amministrazione di Bea siedono dei nominati dal centro sinistra brianzolo e di Nova Milanese in particolare (mentre su quelle di Gelsia sono rappresentati principalmente la Lega e l’ex Pdl).
E chissà se è un caso che proprio a Cesano Maderno e Limbiate si sia messa in discussione l’approvazione del nuovo piano industriale di Gelsia Ambiente, che prevede tra le varie cose l’individuazione di un partner privato per lo smaltimento dei rifiuti. Si tratta di fatto di un piano industriale difficilmente compatibile con quello di Bea.
La prospettiva è che Cesano e Limbiate non rinnovino il contratto con Gelsia ed affidino ad un altro soggetto la raccolta differenziata. Chissà, magari un soggetto meno orientato alla gestione virtuosa del servizio e quindi meno incline a rompere le scatole a Bea.

LA GRANDE FREGATURA DELL’OPERATORE UNICO DEL “CICLO INTEGRATO”
Oppure Cesano e Limbiate stanno cercando di ostacolare il piano industriale di Gelsia per tenere in vita una strategia che sempre più sta prendendo piede nel centro sinistra brianzolo: la creazione di un’unica grande società pubblica per la gestione del cosiddetto ciclo integrato dei rifiuti in Brianza, tramite la fusione di Bea e Gelsia.
Innanzitutto quando sento parlare di “ciclo integrato” mi viene da mettere mano alla pistola! è semplicemente ridicolo parlare di “ciclo integrato”, visto che nel bruciare rifiuti di “ciclico” non c’è nulla. Si tratta di un processo lineare (estraggo materie prime dall’ambiente, produco oggetti e dopo l’uso li incenerisco) che distrugge risorse, materiali post consumo, invece che riciclarli come madre natura ci insegna. L’unico vero ciclo possibile è quello della strategia Rifiuti Zero (ovvero del riciclo totale dei rifiuti).

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Ma veniamo al sodo: unire la società che fa la raccolta differenziata e quella che fa lo smaltimento è un errore clamoroso e lo capirebbe anche un bambino di 5° elementare. Questi due servizi devono essere posti “in concorrenza” tra loro: tanto meglio lavora la prima, tanto meno lavora la seconda! Non a caso la proposta di legge nazionale di iniziativa popolare Rifiuti Zero prevede un preciso obbligo di separazione tra i soggetti che raccolgono e quelli che smaltiscono. Con la fusione dei due servizi non potrà mai esserci innovazione ed evoluzione virtuosa del sistema! Ma ve l’immaginate una società che fa sia raccolta che smaltimento sperimentare la tariffa puntuale (come ha fatto Gelsia a Lissone)? E perché mai dovrebbe farlo? A quale pro? E’ così difficile da capire?
O forse è fin troppo facile da capire… forse è proprio per questo che il centro sinistra brianzolo insiste sulla fusione tra Gelsia e Bea… l’unica a trarne vantaggio sarebbe Bea (per la serie il miglior modo per combattere un nemico è farselo amico!). Per Gelsia non sarebbe altro che un abbraccio mortale, anche in considerazione degli enormi rischi finanziari che il piano industriale di Bea comporta… se non trovano un quantitativo sufficiente di rifiuti da bruciare per i prossimi 18 anni, come faranno a rientrare degli investimenti fatti dal socio privato previsto dal piano? Sempre che riescano a trovare un socio privato tanto pazzo o sprovveduto da entrare nell’assetto societario di Bea.

IL RUOLO (INSIGNIFICANTE) DELLA PROVINCIA
Sullo sfondo di questa intricata vicenda c’è la Provincia di Monza e Brianza. In qualità di socia di maggioranza relativa di Bea, con l’assesore Monti ha fatto finta di opporsi al rilancio del forno, per poi attestarsi su una comoda posizione di astensione al momento di votare il piano industriale.
Intanto sta per essere approvato il Piano Rifiuti Provinciale, che non fa altro che prendere atto e avvallare il piano industriale di Bea. Peccato che il Piano Rifiuti Provinciale, per quanto riguarda gli assetti impiantistici della gestione dei rifiuti, non ha alcun valore, come candidamente ammettono gli stessi estensori del documento:

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LA POLITICA SORDA E INCOMPETENTE
Ma tornando ai sindaci che hanno approvato questo strampalato piano industriale di Bea, c’è da chiedersi come hanno giustificato questa loro decisione. Le motivazioni sono sempre le solite baggianate: la difesa del patrimonio pubblico rappresentato da Bea, l’ineludibilità dell’incenerimento dei rifiuti, la tutela dei posti di lavoro (peccato che la stessa attenzione ai posti di lavoro non ci sia quando si mette in discussione l’affidamento del servizio a Gelsia…) e via discorrendo.
Sulla necessità di bruciare abbiamo già detto tutto; bisogna invece soffermarsi sulla presunta volontà di difendere l’azienda e i posti di lavoro. In realtà è del tutto evidente da quanto abbiamo detto sopra che questo piano industriale è il modo migliore per distruggere l’azienda. I politici che sostengono a spada tratta le scelte di Bea non capiscono che la strada scelta porterà al fallimento della società.

UNA EXIT STRATEGY C’E’ MA NESSUNO LA VUOLE
Non capiscono che Bea avrebbe davanti a sé un futuro luminoso se solo cambiasse politica industriale: uscire il prima possibile e con il minor danno dall’incenerimento, riconvertire l’impianto al recupero di materia dal rifiuto residuo seguendo l’esempio della Fabbrica dei Materiali di Reggio Emilia, puntare sulla creazione di un impianto di compostaggio per il trattamento dell’umido.
Certo, riconvertire l’impianto non è un’operazione a basso costo. Ma è l’unica strada percorribile per salvare l’azienda. Si può studiare un piano finanziario di medio termine per la copertura dei costi tramite gli introiti derivanti da un sistema di gestione dei rifiuti veramente innovativo (tariffa puntuale e vendita dei materiali ricavati dalla lavorazione del rifiuto residuo). Ma tutto questo i sindaci non lo sanno o non lo capiscono. Anche perché si tratterebbe, come prima cosa, di mandare a casa l’attuale management di Bea, che loro stessi hanno nominato e sostenuto strenuamente fino ad oggi, e sostituirlo con uno nuovo, capace di guardare al futuro e all’innovazione del sistema. E si tratterebbe anche di dare ragione ai quei grillini, brutti, sporchi e cattivi, che queste cose in Brianza le ripetono da 5 anni.

Se non lo faranno, Bea andrà a sbattere. Su questo non c’è alcun dubbio. Si tratta di capire i tempi e i modi: sarà la Regione a imporre lo stop all’impianto, in modo graduale e meno traumatico possibile oppure sarà il mercato, sempre più piccolo e competitivo, a mandare Bea con le gambe all’aria?

Ma a quel punto saranno dolori per tutti: Comuni soci, lavoratori e cittadini.

Gianmarco Corbetta

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Appendice del 2 gennaio 2014

TELERISCALDAMENTO MON AMOUR
Nei commenti al post, mi è stato chiesto di parlare anche del teleriscaldamento, altro tema che viene sempre tirato in ballo a favore del mantenimento dell’inceneritore di Desio. In particolare si dice che essendoci il teleriscaldamento non è possibile chiudere il forno e che inoltre il forno, grazie al teleriscaldamento, produce dei vantaggi in termini di qualità dell’aria (minori emissioni dovute all’eliminazione delle caldaie, spesso vecchie, degli immobili che si allacciano alla rete di teleriscaldamento).

Partiamo da questa seconda affermazione. L’associazione Medicina Democratica, tramite il chimico ambientale Marco Caldiroli, qualche tempo fa ha elaborato uno studio proprio su questi aspetti relativamente all’inceneritore di Parma, quando era in fase di progettazione. Dallo studio si evince che se da un lato è vero che spegnendo le caldaie a metano e a gasolio degli immobili allacciati si evita effettivamente un certo numero di emissioni soprattutto di ossido di azoto e di polveri di ossido di zolfo, dall’altro lato è altrettanto vero, che bruciando rifiuti, si emettono in atmosfera altri contaminanti, dei microinquinanti in particolare, che con le caldaie non si emetterebbero o si emetterebbero solo in misura molto limitata. Quindi per fare un’analisi seria occorre considerare bene tutte le sostanze inquinanti (cioè sia quelle che vado ad eliminare che quelle che vado ad aggiungere). E se lo faccio, risulta che sotto il profilo tossicologico non c’è alcun beneficio, anzi…

Per quanto riguarda la prima affermazione… per me è semplicemente ridicola. Il teleriscalamento non può rappresentare una scusa per mantenere in vita il forno! Il teleriscaldamento è nato come conseguenza del fatto che c’erano rifiuti da bruciare (per ricavarne una piccola quantità di energia)… se di rifiuti non ce ne sono più abbastanza, non si può pensare di continuare a produrli allo scopo di alimentare il teleriscaldamento – sarebbe un inaccettabile ribaltamento del nesso logico e consequenziale!
Occorre slegare le sorti della rete di teleriscaldamento da quelle dell’inceneritore. Si può pensare di verificare la fattibilità di alimentare il teleriscaldamento con un impianto di geotermia (come succede a Ferrara) o in alternativa (più probabilmente) alimentarlo a metano. D’altronde già adesso la rete di teleriscaldamento ha un backup di centraline a metano. Difatti se il forno di sblocca per un guasto improvviso a gennaio, non è che le utenze allacciate rimangono al freddo! Si tratta solo di potenziare queste centraline che già esistono!

Più in generale, credo che il teleriscaldamento sia una tecnologia vecchia. Occorre investire sul risparmio energetico degli edifici e non sulla creazione di nuove reti di teleriscaldamento.